Per chi come noi di Eurosoftware si occupa di innovazione, è fondamentale conoscere le ultime novità della digital disruption. Tra queste spicca sicuramente il concetto di “Open Innovation”, un nuovo modello di innovazione dove le imprese per creare più valore usano tecnologiche esterne, ad esempio come startup, università, istituti di ricerca, fornitori, inventori, programmatori e consulenti. In pratica, un’azienda che lavora seguendo il modello dell’Open Innovation, non può basarsi esclusivamente su idee e risorse interne perché di fatto l’innovazione in casa non è sufficiente a tenere il passo con le ultime tecnologie. Forse come noi vi state chiedendo come nasce questa definizione. È abbastanza semplice.
Il termine è stato coniato dall’economista statunitense Henry Chesbrough, che nel saggio The era of open innovation illustra come la globalizzazione ha reso sempre più costosi e rischiosi i processi di ricerca&sviluppo mentre il ciclo di vita dei prodotti è diventato più breve.
Così le aziende devono necessariamente aprirsi, anche a costo di non sentirsi proprietarie delle invenzioni. Riflettiamo però. Il cambiamento non viene dalle aziende.
È il mondo ad essere cambiato. Il sapere e i talenti viaggiano ad una velocità pazzesca grazie alla rete e di conseguenza, è sempre più difficile trattenere il personale internamente.
Pensiamo anche ai mercati dei capitali, come insegna il caso delle startup della Silicon Valley, dove tutte le aziende si basano su modelli di business e approcci completamente nuovi e disruptive rispetto al passato.
Ma alla fine, quanto costa alle aziende non stare al passo con i tempi? E se un’azienda, magari forte del suo capitale, decidesse di mantenere un approccio “closed innovation”, sarebbe una scelta strategicamente vincente? In questo caso, ci vengono in aiuto i numeri.
Un’indagine condotta da Accenture stima che la collaborazione tra aziende e startup (o altri soggetti innovatori) può generare in tutto il mondo una potenziale crescita di circa 1,5 trilioni di dollari, pari al 2,2% del Pil globale, e solo in Italia può valere un incremento di 35
miliardi di euro (l’1,9% in più del Pil).
WE ARE OPEN
Abbiamo capito che il modello dell’Open Innovation vede un’azienda accedere alle innovazioni “in vendita” sul mercato, integrandole con il proprio modello di business. I vantaggi di un processo del genere sono diversi. Pensiamo alla velocità del time to market, quindi meno tempo tra fase di ideazione del prodotto e fase di immissione sul mercato. In poche parole, un’azienda che produce dal proprio interno le innovazioni migliori è
maggiormente competitiva. Oggi come oggi, sono poche le aziende che possono permettersi delle risorse interne tali da non necessitare di uno scambio con l’esterno. E tuttavia, anche queste si stanno rendendo conto che i contributi esterni rappresentano uno stimolo
significativo e a volte essenziale.
Tutto questo può avvenire semplicemente tramite accordi inter-aziendali, per cui un’impresa delega a un’altra la creazione di determinate innovazioni. Gli hackathon, le gare di programmazione per cui le aziende chiedono a developer e innovatori di inventare soluzioni digitali innovative in 24 ore in un determinato settore, l’acquisizione, da parte di grandi corporation, di startup innovative al fine di integrare nel proprio organico dei talenti digitali.
La semplice condivisione e la circolazione di idee innovative, attraverso eventi di networking e conferenze. Infine, come abbiamo detto prima, la partnership con università, centri di ricerca e incubatori.
ESEMPI ECCELLENTI
Un nome su tutti. Google. E già questo da solo basterebbe. La sua Open Innovation incoraggia gli scambi con altre startup, alcune delle quali sono acquisite direttamente o finanziate attraverso Google Ventures. Un altro esempio, non meno importante, Samsung che ha aperto diversi open innovation center, tra cui uno proprio nella Silicon Valley.
Anche in Italia ci diamo da fare. Enel ha creato una divisione dedicata, stipulando centinaia di partnership con le startup: solo nel 2016 ha avviato 80 progetti di collaborazione in molti dei 30 Paesi in cui la società è presente. A questo punto, possiamo tranquillamente affermare come il business del futuro sia “Open”.